venerdì 5 agosto 2011

Alessandro MANZONI vita e opere


Vita
Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal nobiluomo Pietro e da Giulia, figlia di Cesare Beccaria. Fra il 1791 e il 1800 fu in collegi di padri somaschi a Merate e a Lugano, poi di barnabiti a Milano.
Il giovane assorbì una conoscenza abbastanza larga della cultura settecentesca. Intanto, la madre si era separata dal marito e conviveva a Parigi con Carlo Imbonati. Nel 1805, morto l'Imbonati, si stabilì presso la madre a Parigi. Furono anni che influirono decisamente sulla sua formazione intellettuale. Nel 1808 si sposò con un'Enrichetta Blondel, di famiglia ginevrina residente a Milano, e il matrimonio fu un'altra esperienza decisiva, sia per l'affetto profondo che lo legò alla moglie, sia per l'influsso che questa, calvinista fervente, esercitò sulla vita religiosa di lui. Presto, infatti, emerse evidente la divergenza fra lui, non ateo, ma indifferente al problema religioso, e lei, cresciuta severamente in una fede diversa da quella in cui il Manzoni era stato educato. La nascita di una figlia rese più acuto il problema e a Parigi Manzoni maturò, attraverso i colloqui con l'abate Degola, la conversione al cattolicesimo.
In quegli anni il Manzoni si accostò a suo modo alle tesi romantiche; seguì con interesse, ma da lontano, senza prendervi parte direttamente, tanto le polemiche letterarie, quanto i primi moti risorgimentali. Dopo il '30 la sua vita, almeno in parte, cambiò. La morte di Enrichetta lo colpì duramente. L'amicizia per il Fauriel si attenuò e le successe quella per il Rosmini, amato con uguale intensità, trattato con una confidenza e un abbandono più sorvegliati. Più tardi venne un secondo matrimonio con una donna, Teresa Stampa, assai inferiore intellettualmente a lui. Seguì con animo caldo il corso del Risorgimento, di cui condivise gli ideali e le speranze. Nel 1861 divenne senatore del Regno. Nel 1873 morì a Milano.

Opere
Inni Sacri
Il conte di Carmagnola
Adelchi
Le Odi
I Promessi Sposi
Del trionfo della libertà
Sermoni
Carme in morte di Carlo Imbonati
Urania
A Parteneide
Adda



Schede delle opere

Del trionfo della libertà
Composto nel 1801, rappresenta il primo scritto del Manzoni. Il genere, il titolo, il metro, i modi dell'elocuzione poetica, riportano tutti al Monti, al colmo allora della sua fama, apprezzato e imitato.

Adda
Composta tra il 1802 e il 1805, tra i diciassette e i vent'anni, quando l'impronta montiana andò attenuandosi e i modelli diventarono piuttosto Parini, Alfieri, Foscolo, l'"Adda" è un poemetto suggerito dalla lettura di un secentista.

Sermoni
Sono quattro, di un moralismo risentito e giovanile.

Carme in morte di Carlo Imbonati
Venne composto nel 1805. Il poeta vi immaginò che l'Imbonati, apparsogli in sogno (modulo vecchissimo) gli dicesse di sè, gli si dichiarasse amico della poesia, purchè seria e severa, gli desse nobili precetti di poetica e di vita. E' l'opera giovanile di Manzoni più nota e più importante.

Urania
Narra, tema assai diffuso a quel tempo, l'iniziazione degli uomini primigeni alla civiltà e alla virtù per opera delle Muse e delle Grazie.


Inni Sacri

Manzoni rinnegava tutto un modo di poesia, per iniziarne con gli "Inni Sacri", uno nuovo, in cui erano già anticipati tutti i capisaldi di poetica, che avrebbe definito più tardi: materia vera, come quella che cantava i misteri di una fede che il poeta viveva sentimentalmente ed intellettualmente; materia interessante, come quella che i lettori condividevano; sostituzione della mitologia cristiana a quella pagana, ormai morta e per la quale il poeta non provava le nostalgie, fra sentimentali ed estetiche, di altri scrittori del tempo.
Il Manzoni progettò di comporre dodici inni, che cantassero gli avvenimenti principali dell'anno liturgico e, fra il 1812 e il '15, ne scrisse quattro:"Il Natale" (1813), "La Passione" (1814-15), "La Risurrezione (1812), "Il nome di Maria" (1812-13); un quinto - "La Pentecoste" fu iniziato e condotto a termine più tardi.
Il Manzoni compose secondo uno schema scontato: enunciazione del tema, "episodio" centrale, commento ed enucleazione delle conseguenze dottrinali e morali dell'avvenimento che celebra. Ne "Il Natale" si afferma che la Grazia ha sollevato l'uomo dal peccato. Negli altri inni è presente il problema della redenzione. Nel rapporto uomo-Dio è Dio che scende dall'alto verso l'uomo (divino che cala nell'umano) per Sua grazia.
La religiosità è vissuta come spiritualità e non come ossequio formale, partecipazione ai riti. Coerenza intransigente tra principi religiosi e comportamento umano, tra pensiero e azione. Ne consegue la condanna del temporalismo della Chiesa.
Limiti degli "Inni Sacri":
a. eccessivo zelo con cui il Manzoni vuole rimanere aderente ai testi sacri;
b. disorganicità dei motivi.



La Pentecoste. Nella Pentecoste è descritta la vita della Chiesa prima della discesa dello Spirito Santo, quando i discepoli, timorosi per la condanna del Redentore, vivevano appartati nel Cenacolo, nè osavano testimoniare le verità a loro rivelate; e sono descritte le vicende che seguirono alla discesa dello Spirito, quando si aprì il fonte della parola sulle labbra degli Apostoli ed ebbe inizio la predicazione del Vangelo; e allo Spirito Santo è rivolta infine una preghiera in nome di tutti gli uomini, affinché Egli continui a discendere negli animi, ad illuminarli in ciascuna ora della vita. La pentecoste infatti non si è esaurita per il Manzoni in un momento storico, ma si ripete ad ogni istante nella storia terrena. L'inno non si presenta perciò come la voce di uno solo o come la celebrazione un poco angusta e chiesastica di un rito, ma come una preghiera corale di amplissime proporzioni, una preghiera in cui lo Spirito è invocato non solo per i credenti ma per quelli che lo ignorano, per gli uomini di tutte le età e di tutte le plaghe; non soltanto perché discenda e ricrei il nostro animo, ma perché rimanga nell'intimo e lo vivifichi, divenga la sua sostanza medesima.
Nella Pentecoste, rispetto agli altri inni, oltre al superamento dei limiti formali, si nota una maturazione della religiosità del Manzoni. Mentre negli altri inni Dio scende verso l'uomo per sua Grazia (il divino scende verso l'umano), nella Pentecoste Dio è presente negli uomini (fusione del divino e dell'umano), è forza operante in mezzo agli uomini, diffondendo la pace, la giustizia, l'eguaglianza.



Carmagnola
Tragedia scritta tra il 1816 e il 1820, sceneggia la storia di un capitano di ventura, Francesco Bussone, diventato, da pastore, capitano famoso, conte di Carmagnola, genero del duca di Milano. Combattendo per questo, passa di vittoria in vittoria; poi passa al servizio di Venezia, cui procura la vittoria di Maclodio contro il suocero. Ma, sospettato di tradimento dai veneziani, è chiuso in carcere, processato e decapitato, mentre tutti lo abbandonano e anche il suo miglior amico, Marco, non ha il coraggio di difenderlo apertamente.
Il Manzoni, dopo aver studiato il processo al Carmagnola, credette di poter concludere che era innocente del tradimento di cui l'accusavano. Manzoni venne colpito, nella vicenda del Carmagnola, da quel rapido trascorrere dal culmine della gloria e della potenza al culmine della sventura.
Il Manzoni abolì le unità di tempo e di luogo; intercalò fra gli atti un coro, un "cantuccio", disse, che il poeta si riservava, a commentare i fatti e gli uomini lasciati vivere liberamente sulla scena.
Nel Carmagnola affiora una visione pessimistica della vita: il conte è vittima innocente dell'ingiustizia, nella storia prevale la legge del più forte, la vita è male, dolore. Solo la fede sostiene l'uomo. Religiosità inattiva, elegiaca: la fede è un sostegno nell'affrontare il male, non una soluzione. L'unico premio alle sofferenze terrestri sarà nella vita ultraterrena. La visione pessimistica di Manzoni è influenzata dagli eventi storici: la sconfitta di Napoleone e la successiva Restaurazione.
Nel "Carmagnola" il dramma è tutto interno al singolo.
Gli elementi negativi della tragedia manzoniana sono:
- genericità delle figure con contorni affrettati;
- netta contrapposizione fra buoni e malvagi;
- manca l'azione drammatica.



Adelchi
Tragedia composta tra il 1820 e il 1822.
Vicenda.
Ermengarda, ripudiata da re Carlo (futuro Carlo Magno), viene restituita la Padre Desiderio, re dei Longobardi. Un ambasciatore di Carlo, Albino, intima a Desiderio, in nome del suo signore, di lasciar libere le terre di cui Pipino aveva fatto dono al Pontefice. Desiderio rifiuta ed Albino gli dichiara guerra. Alcuni duchi longobardi, timorosi, pensano al tradimento e si radunano per tramare in casa del soldato Svarto.
Carlo compie ogni sforzo per vincere i Longobardi, ma invano.
Adelchi, nel frattempo, rivela al fido scudiero Anfrido la sua delusione per la ritirata dei Franchi, che gli impedisce di vendicare l'oltraggio recato alla sorella; e la sua amarezza al pensiero delle prossime imprese del padre, che si volgerà ormai contro gli inermi.
I Franchi, scoprendo una via inusitata attraverso le Alpi riescono a prendere alla sprovvista i Longobardi e a metterli in fuga.
Carlo contempla ormai sotto di sè la fertile Italia, ormai sua preda, accoglie come amici i duchi traditori, proclama Svarto duca di Susa.
Gli italiani attendono dai nuovi dominatori la loro libertà, mentre i Longobardi organizzano le estreme difese: Desiderio si chiude in Pavia, Adelchi a Verona. In un monastero spira Ermengarda; Pavia cade per tradimento di Guntigi e ben presto cade anche Verona. Desiderio, prigioniero, invoca clemenza per il figlio, ma invano: Adelchi viene recato ferito a morte; ma prima di morire egli chiede al feroce avversario mitezza per la prigionia del padre.




Critica.
Nell'Adelchi vi è il dramma di Desiderio, re dei Longobardi, travolto dalla potenza regale alla sconfitta, alla perdita del trono, alla distruzione della famiglia; accanto al suo vi è il dramma di Ermengarda - che passa dalla felicità di un amore ricambiato al ripudio e all'abbandono - e vi è il dramma di Adelchi, riluttante alla guerra che suo padre vuole, ma combattente, per dovere e amore filiale, senza speranza e senza gioia; vi è il dramma, infine, del popolo italiano, che spera libertà dalla sconfitta dei Longobardi e che, invece, si troverà due padroni invece di uno.
La Provvidenza e l'uomo operano per il Manzoni su due piani diversi, che non interferiscono fra loro. Lo scrittore si pone con angoscia, senza saperlo risolvere, il problema del dolore e del male. Dio e il cielo esistono, ma sono lontani e interverranno solo nel giorno del giudizio. Ma intanto qui sulla terra la Storia è una vicenda sanguinosa e crudele, in cui i più forti e i più spregiudicati trionfano: Adelchi è sconfitto con i suoi sogni di pace; Ermengarda muore disperata d'amore; vince Carlo Magno che, in un'ora di dubbio, ha avuto la forza di allontanare da sè i fantasmi della coscienza e del sentimento per rinchiudersi nella logica ferrea della "ragion di Stato".



I Promessi Sposi
Vicenda.
E' la sera del 7 novembre 1628. Don Abbondio, curato di un piccolo paese nei dintorni di Lecco, se ne sta tornando dalla sua passeggiata quotidiana, quando si vede la strada sbarrata da due loschi figuri. Sono due bravi, al servizio del signorotto del luogo, don Rodrigo, i quali intimano, a nome del loro signore, allo sbigottito curato di non celebrare l'indomani il matrimonio fra due giovani filatori di seta del paese, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Il curato, impaurito, si dichiara pronto ad ubbidire.
Saputa la cosa, Renzo minaccia di fare uno sproposito, poi si calma e accetta il consiglio della madre di Lucia, Agnese, che gli suggerisce di chiedere aiuto al dottor Azzeccagarbugli. Costui è un avvocato che, dapprima accoglie bene il giovane, poi, saputo che si tratta di don Rodrigo, di cui è amico, caccia via in malo modo Renzo. Allora un cappuccino buono e generoso, fra Cristoforo, si reca dal signorotto per farlo recedere dal suo proposito, ma invano.
I due "promessi" decidono di tentare allora un matrimonio "di sorpresa"; nottetempo, con un'abile espediente, si introducono nella canonica, ma l'impresa non riesce: Don Abbondio invoca disperatamente aiuto e il sagrestano, suonando la campana a martello, sveglia tutto il paese. Lucia e Renzo fuggono, ma i rintocchi della campana mettono in fuga anche un drappello di bravi, che nel frattempo erano stati inviati da don Rodrigo per rapire Lucia.
Fra Cristoforo aiuta i due giovani, ormai non più al sicuro, a fuggire: sulla riva del lago li attende una barca che li trasporta sulla riva destra dell'Adda; qui li aspetta un barrocciaio che li conduce a Monza. Lì i fuggiaschi devono separarsi; Agnese e la figlia vengono condotte in un monastero, nel quale una strana monaca, detta la Signora, prende Lucia sotto la sua protezione; Renzo prosegue per Milano dove viene coinvolto in un tumulto causato dalla mancanza di pane. Scambiato per uno dei capi della sommossa, viene catturato. Scampa casualmente agli sbirri e ripara a Bergamo, dove Bortolo, suo cugino, gli offre lavoro e ospitalità.
Per Lucia, intanto, si preparano nuove sventure. Don Rodrigo tramite un uomo potente, l'Innominato, riesce a far rapire Lucia. I malvagi sembrano ormai aver avuto la meglio, quando interviene la Provvidenza di Dio a cambiare il corso degli avvenimenti. L'Innominato, che da tempo sentiva avversione per le sue scelleratezze, è turbato profondamente dalla vista di Lucia e dopo una notte tempestosa e un drammatico colloquio con il santo cardinale Federigo Borromeo, si converte e decide di cambiar vita. libera Lucia e la consegna a sua madre. Più tardi la ragazza sarà affidata ad una signora caritatevole, donna Prassede.
Nuovi gravi avvenimenti incombono sui nostri protagonisti: la guerra, la carestia, la peste. I Lanzichenecchi, feroce soldataglia tedesca, devastano il territorio. Don Rodrigo, colpito dalla peste, muore. Renzo, invece, riesce a guarire a a far ritorno a Milano per cercare Lucia. La trova fra gli appestati del lazzaretto, risanata dalla terribile malattia. I due giovani si ricongiungono con la benedizione di Fra Cristoforo, tornano al paese, dove don Abbondio, guarito dalla peste e dalla paura, celebra il sospirato matrimonio.

Critica.
a) Il romanzo storico.
Influenzato da Walter Scott, Manzoni compose questo romanzo a più riprese.
Manzoni sentì il romanzo storico come adatto ai suoi mezzi e alle sue aspirazioni. Riuscì a raccontare la situazione umana della Lombardia intorno al 1630, negli anni della dominazione spagnola e riuscì, soprattutto a legare le vicende private degli umili alla grande storia di un'epoca.
b) L'epopea del terzo stato.
Per la prima volta in Italia i protagonisti di una vicenda "tragica" e "alta" sono gli umili, gli esponenti del terzo stato. Questa "rivoluzione" letteraria comporta che i personaggi principali dell'opera letteraria non siano personaggi storici, ma uomini di ogni giorno con le loro vicende quotidiane.
Ciò fu il frutto del cristianesimo liberale di Manzoni, punto di incontro fra la sua educazione illuminista e la sua fede cristiana.
Se gli umili diventano protagonisti, viceversa i "grandi", le autorità, ne escono ridimensionati, ritratti nella loro meschinità e nel loro cattivo uso del potere.
c) L'epopea della Provvidenza.
A differenza delle sue opere precedenti, ne I Promessi Sposi Manzoni vede la storia come un susseguirsi di azioni dietro le quali opera, nascosta, eppure vigile, la Provvidenza divina.
A nulla servono i piani degli uomini, siano essi umili o potenti. Anzi, essi spesso falliscono miseramente, sortendo l'effetto contrario a quello voluto. Sfiducia, quindi, nei potenti, che nulla possono, ma anche nelle lotte degli umili, nel loro progetto di riscatto che non tenga conto di Dio.
Nel romanzo c'è un trionfo, persino sfacciato, del Bene. Tutto ciò è dovuto alla Provvidenza, che agisce segretamente dietro le vite degli uomini.
d) La tecnica e l'arte.
La finzione dello scartafaccio secentesco permette al Manzoni di raccontare commentando continuamente il suo racconto.
Autore e personaggi, quali che siano, parlano tutti in un medesimo modo.
Il raccontare di Manzoni è pacato, come onda che scorra uguale, con descrizioni attente e minute, con delineazioni critico-psicologiche dei personaggi di sottile acutezza analitica, con dialoghi riferiti per intero, battuta per battuta, e intanto analizzati e commentati, con personaggi accuratamente descritti alla loro prima uscita e poi messi in azione con una coerenza di psicologia che non viene mai meno.
Gramsci afferma che I Promessi Sposi non sono un romanzo popolare. Riconosce al Manzoni il merito di aver fatto del popolo il protagonista del romanzo, ma la visione che ci dà del popolo è caricaturale, paternalistica.
Croce giudicava il romanzo di Renzo e Lucia un'opera oratoria.

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